La Pia Unione di oggi è la continuatrice diretta, senza interruzioni né rinnovamenti, della gloriosa corporazione medievale; anzi ha particolare storica importanza in quanto, mentre le altre consorelle che nei tempi più floridi oscillavano tra quindici e venti nella sola Fabriano sono tutte estinte, questa sola sopravvive ed è ancora innestata alla vita dell’Industria. L’arte dei fabbricanti di carte bombicine così chiamata per distinguerla da quella più antica dei produttori di carte pecudine o pergamene, durata sino alla metà del quattrocento, non sorse contemporaneamente al nascere dell’Industria se i primi documenti di carte e cartai non sono anteriori agli ultimi decenni del duecento, non è dubbio che il grado di perfezione allora raggiunto presuppone una lunga elaborazione anteriore.
Un priore del Comune pro arte cartarum bombacis è menzionato nel 1293. La Corporazione dei Cartai è registrata fra le Corporazioni che avevano rappresentanza nei Consigli del Comune.
Forse manca una conoscenza anche superficiale del periodo anteriore; forse le gualchiere che operavano nel tempo anteriore, avevano un personale troppo scarso perché potesse costituirsi in associazione. Ma i documenti che si conservano della vita della Corporazione sono pochissimi. Essi si riducono a pochi libri contabili, oltre le notizie intorno ai rappresentanti dell’Arte nei Consigli di Governo ed a qualche provvedimento deliberato a tutela e a difesa di essa dalla Comunità.
Non si conservano nemmeno gli antichi statuti, come esistono, e sono stati pubblicati da Mons. Zonghi, dell’Arte della lana e di altre minori.
L’erudito fabrianese Luigi Mostarda, della seconda metà del settecento, ebbe in mano due volumi non molto antichi posseduti dal produttore Mariotti, contenenti verbali di adunanze dell’Arte. L’uno (lettera B) andava dal 1557 al 1641; l’altro (lettera A) dal 1585 al 1676. Ma sventuratamente, invece di trascriverli per intero -il che non ci avrebbe fatto rimpiangere la perdita degli originali ci ha lasciato soltanto tre o quattro paginette di excerpta, nelle quali non c’è altro che una serie di capitani dell’Arte i quali possono interessare per la storia di molte cospicue famiglie locali, ma nulla ci dicono intorno allo sviluppo e al funzionamento della Corporazione, salvo un verbale di adunanza del 6 giugno 1557, riportato alla fine del volume B, poco significante perché non collegato con i precedenti della questione di cui si trattava. La trascrizione era stata richiesta dal celebre Tiraboschi, il quale desiderava notizie, inutilmente cercate, su Pace da Fabriano e sui suoi discendenti per trattare delle origini dell’Arte della carta nella sua Storia della Letteratura Italiana: l’Angelelli ha pubblicato intere pagine del Mostarda nell’opuscolo che citiamo nella bibliografia. Esula dall’ambito ristretto del presente studio trattare, anche di sfuggita, dell’importanza che ebbero le Corporazioni delle Arti nella civiltà medievale sia dal lato economico e sociale, sia da quello politico; l’argomento del resto è stato studiato, in tutti suoi aspetti, da insignì storici italiani e stranieri e nelle sue linee generali fa parte del bagaglio culturale di ogni persona anche mediocremente istruita.
Anche nel libero Comune di Fabriano, sorto dapprima nel secolo XII come associazione dei boni homines o feudatari rurali dimoranti nei due castelli contigui da cui si formò la città, acquistò via via maggiore importanza l’Universitas plebeiorum che riuniva h nonolazione borghese ed artigiana, accresciutasi gradualmente per le favorevoli condizioni che determinarono lo sviluppo delle industrie e per l’immigrazione delle campagne rese malsicure dalle continue guerre; ed acquistando sempre maggiore coscienza del suo valore e dei conseguenti diritti, volle ed ottenne, dopo vivi contrasti, la sua parte nell’amministrazione del Comune, organizzandosi nelle Corporazioni o universitates, ciascuna con i suoi statuti, col suo ordinamento e col triplice scopo, religioso (partecipazione alla vita religiosa_ del Comune, culto del Santo Patrono dell’Arte), economico-sociale (tutela, sviluppo, disciplina dell’industria), di assistenza e beneficenza, talora estesa anche agli estranei.
Sul funzionamento dell’Arte della Carta, pur senza gli statuti, possiamo farci un’idea dall’analogia con altre Arti, specialmente con quella della lana, intorno alla quale le fonti sono più numerose. Vi erano ascritti per obbligo quanti erano addetti alle varie attività dell’Industria, che, in origine, erano disgiunte l’una dall’altra: i maestri cartai o produttori, che erano anche proprietari o affittuari delle gualchiere (soli o associati fra loro); i calandratori che si occupavano delle varie operazioni di allestimento del prodotto, ricevuto grezzo dai fabbricanti; i mercanti che provvedevano allo smercio di esso. Che vi fossero compresi anche questi, n’è testimonianza la dicitura con cui l’arte è denominata nell’unico verbale trasmesso per esteso nel riassunto del Mostarda “Universitas et homines mercatores artis cartae bambaginae”. La Corporazione era governata da un Consiglio di due capitani che erano 1 rappresentanti ufficiali, un camerlengo (camerarius) deputato all’amministrazione finanziaria, un sindaco autorizzato ai contratti legali, altri consiglieri con incombenze minori (infermieri, avvisatori, ospitalieri, ecc.). L’iscrizione all’Arte era obbligatoria per tutti coloro che l’esercitavano (come maestri, s’intende: non gli apprendisti, i manovali e simili inservienti), come era tassativo per ciascuno l’obbedire alle deliberazioni prese e il dare il proprio contributo finanziario alla vita della Corporazione: i recalcitranti potevano essere costretti da-gli organi di Governo con atti coercitivi, come appare dal già ricordato verbale che il Mostarda ha trascritto e conservato.
[tratto da La Pia Università dei Cartai di Fabriano e la sua Chiesa di S. Maria Maddalena di Romualdo Sassi]
Forse manca una conoscenza anche superficiale del periodo anteriore; forse le gualchiere che operavano nel tempo anteriore, avevano un personale troppo scarso perché potesse costituirsi in associazione. Ma i documenti che si conservano della vita della Corporazione sono pochissimi. Essi si riducono a pochi libri contabili, oltre le notizie intorno ai rappresentanti dell’Arte nei Consigli di Governo ed a qualche provvedimento deliberato a tutela e a difesa di essa dalla Comunità.
Non si conservano nemmeno gli antichi statuti, come esistono, e sono stati pubblicati da Mons. Zonghi, dell’Arte della lana e di altre minori.
L’erudito fabrianese Luigi Mostarda, della seconda metà del settecento, ebbe in mano due volumi non molto antichi posseduti dal produttore Mariotti, contenenti verbali di adunanze dell’Arte. L’uno (lettera B) andava dal 1557 al 1641; l’altro (lettera A) dal 1585 al 1676. Ma sventuratamente, invece di trascriverli per intero -il che non ci avrebbe fatto rimpiangere la perdita degli originali ci ha lasciato soltanto tre o quattro paginette di excerpta, nelle quali non c’è altro che una serie di capitani dell’Arte i quali possono interessare per la storia di molte cospicue famiglie locali, ma nulla ci dicono intorno allo sviluppo e al funzionamento della Corporazione, salvo un verbale di adunanza del 6 giugno 1557, riportato alla fine del volume B, poco significante perché non collegato con i precedenti della questione di cui si trattava. La trascrizione era stata richiesta dal celebre Tiraboschi, il quale desiderava notizie, inutilmente cercate, su Pace da Fabriano e sui suoi discendenti per trattare delle origini dell’Arte della carta nella sua Storia della Letteratura Italiana: l’Angelelli ha pubblicato intere pagine del Mostarda nell’opuscolo che citiamo nella bibliografia. Esula dall’ambito ristretto del presente studio trattare, anche di sfuggita, dell’importanza che ebbero le Corporazioni delle Arti nella civiltà medievale sia dal lato economico e sociale, sia da quello politico; l’argomento del resto è stato studiato, in tutti suoi aspetti, da insignì storici italiani e stranieri e nelle sue linee generali fa parte del bagaglio culturale di ogni persona anche mediocremente istruita.
Anche nel libero Comune di Fabriano, sorto dapprima nel secolo XII come associazione dei boni homines o feudatari rurali dimoranti nei due castelli contigui da cui si formò la città, acquistò via via maggiore importanza l’Universitas plebeiorum che riuniva h nonolazione borghese ed artigiana, accresciutasi gradualmente per le favorevoli condizioni che determinarono lo sviluppo delle industrie e per l’immigrazione delle campagne rese malsicure dalle continue guerre; ed acquistando sempre maggiore coscienza del suo valore e dei conseguenti diritti, volle ed ottenne, dopo vivi contrasti, la sua parte nell’amministrazione del Comune, organizzandosi nelle Corporazioni o universitates, ciascuna con i suoi statuti, col suo ordinamento e col triplice scopo, religioso (partecipazione alla vita religiosa_ del Comune, culto del Santo Patrono dell’Arte), economico-sociale (tutela, sviluppo, disciplina dell’industria), di assistenza e beneficenza, talora estesa anche agli estranei.
Sul funzionamento dell’Arte della Carta, pur senza gli statuti, possiamo farci un’idea dall’analogia con altre Arti, specialmente con quella della lana, intorno alla quale le fonti sono più numerose. Vi erano ascritti per obbligo quanti erano addetti alle varie attività dell’Industria, che, in origine, erano disgiunte l’una dall’altra: i maestri cartai o produttori, che erano anche proprietari o affittuari delle gualchiere (soli o associati fra loro); i calandratori che si occupavano delle varie operazioni di allestimento del prodotto, ricevuto grezzo dai fabbricanti; i mercanti che provvedevano allo smercio di esso. Che vi fossero compresi anche questi, n’è testimonianza la dicitura con cui l’arte è denominata nell’unico verbale trasmesso per esteso nel riassunto del Mostarda “Universitas et homines mercatores artis cartae bambaginae”. La Corporazione era governata da un Consiglio di due capitani che erano 1 rappresentanti ufficiali, un camerlengo (camerarius) deputato all’amministrazione finanziaria, un sindaco autorizzato ai contratti legali, altri consiglieri con incombenze minori (infermieri, avvisatori, ospitalieri, ecc.). L’iscrizione all’Arte era obbligatoria per tutti coloro che l’esercitavano (come maestri, s’intende: non gli apprendisti, i manovali e simili inservienti), come era tassativo per ciascuno l’obbedire alle deliberazioni prese e il dare il proprio contributo finanziario alla vita della Corporazione: i recalcitranti potevano essere costretti da-gli organi di Governo con atti coercitivi, come appare dal già ricordato verbale che il Mostarda ha trascritto e conservato.
[tratto da La Pia Università dei Cartai di Fabriano e la sua Chiesa di S. Maria Maddalena di Romualdo Sassi]